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Rosella Postorino mi limitavo ad amare te

Rosella Postorino: “Mi limitavo ad amare te”

Vi consigliamo l’ultimo romanzo di Rosella Postorino:
“Mi limitavo ad amare te”
Ed.: Feltrinelli

Chiudere il nuovo romanzo di Rosella Postorino “Mi limitavo ad amare te”, uscito da pochissimo per Feltrinelli come il precedente “Le assaggiatrici” (vincitore del Premio Campiello lo scorso anno e tradotto in 50 paesi) ha rappresentato un dolore fisico, quasi quanto il leggerlo. Un dolore da cui si impara come nei migliori romanzi dell’800, un dolore che ci obbliga ad entrare nella nostra interiorità per riflettere e per capire larga porzione della psiche umana, nostra e altrui e della realtà. E’ un libro stupendo. Imprescindibile. Da leggere assolutamente.
Come punto di partenza del suo romanzo, Postorino raccoglie e rielabora le storie vere di alcuni bambini profughi in Italia dalla guerra bosniaca, le cui esistenze ha conosciuto in profondità. Storie individuali particolarissime e nello stesso tempo universali in quanto portatrici della Storia della guerra, la guerra di sempre, a Sarajevo nel ’92 e oggi in Ucraina. Case distrutte, brutalità senza fine e senza senso, un orfanatrofio che accoglie bambini con genitori impegnati in guerra o semplicemente abbandonati per i motivi più svariati: vicende più o meno note, che ognuno di noi ricorda dalle cronache lette, ma che filtrate dalla narrazione di questa autrice diventano possessi interiori per l’eterno, possessi, come ho detto, che fanno un gran male ma che ci fanno capire le cose dal di dentro, come solo la grande letteratura sa fare.

I protagonisti- prima bambini, poi adolescenti in Italia e infine adulti – hanno ognuno un personale carattere che contribuisce o rende più difficile affrontare e venire a patti con il trauma insanabile della guerra e della perdita. Su tutti Omar, il cui tributo d’amore per la madre dispersa gli rende impossibile adattarsi e lo condurrà a difficoltà personali pesanti. Omar è simbolo di un pensiero centrale in Postorino: nella vita si entra con uno strappo, ci si distacca dalla propria madre e quello strappo ci segna per sempre ed è molto difficile da sanare. I bambini dell’orfanatrofio di Bjelave si salvano, almeno in apparenza. Riescono ad abbandonare la Bosnia ma al loro arrivo in Italia dovranno subire l’ulteriore trauma del sentirsi sempre stranieri a se stessi, in perpetua mancanza delle radici, dei propri cari, dei luoghi d’appartenenza, strattonati sia da un futuro che li chiama a cambiare e a dimenticare per vivere e un passato che, che per quanto terribile, tutti alla fine vogliono ricordare perché lì sta la radice di loro stessi, negli affetti persi, ritrovati e ripersi.

E’ un romanzo che procura una grande e sana commozione, ripeto come i romanzi migliori che tutti abbiamo letto e che hanno costruito la nostra sensibilità, perché attraverso una prosa potente e bellissima ci viene narrata una vicenda di sempre, fatta di ragazzi, di uomini e donne che patiscono dolori immensi a causa del male che fa parte del mondo in modo incontrovertibile, senza falsi miti di redenzione, che non siano la solidarietà leopardiana che mette in sincerità e in aiuto qualcuno accanto significativamente ad un altro.

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